«Quella è Kelsey Lane?»
Incuriosito, Nathan Donovan alzò lo sguardo dallo schermo del telefono e guardò suo fratello maggiore, Connor. «Già. Ho appena ricevuto il suo file.»
«Di sabato sera?» Connor sollevò le sopracciglia. «Alla celebrazione del centenario del nonno? Meglio che non ti sorprenda a lavorare.»
Nathan si era nascosto in un angolo della grande tensostruttura dove sperava di passare inosservato. Dato che c’erano quasi mille invitati, avrebbe dovuto immaginare che non poteva pretendere di lavorare, invece di socializzare, senza essere scoperto.
«Qualcosa di interessante?» Chiese Connor, dopo aver dato un’occhiata in giro.
Quando si rese conto che suo fratello non se ne sarebbe andato, Nathan spense lo schermo e rimise il telefono in tasca. «Ha conseguito un master. Lavora con la Newman Inland Marine da circa sei anni, compresi gli stage. Leale. Affidabile. Risultati eccellenti. Promozioni più veloci del previsto.»
Connor annuì, come se l’informazione non fosse una sorpresa.
«Cosa sai di lei?» chiese Nathan.
«Non molto. Il suo nome è apparso sulla mia scrivania un paio di giorni fa. Un reclutatore stava cercando nuovi talenti per la BHI.»
La moglie di Connor possedeva BHI e Connor aveva un posto nel Consiglio di Amministrazione. Come Amministratore Delegato, Lara contava sul sostegno e sulle opinioni di Connor. «Interessante,» gli disse Nathan. Con la crescita dei loro affari, certi conflitti erano prevedibili. Sgradevoli, ma inevitabili. Sapeva la BHI aveva interessi nelle spedizioni e nella logistica, ma visto che riguardavano il trasporto terrestre e aereo, nel migliore dei casi erano una concorrenza minore. «Di quali settori stiamo parlando?»
«Petrolio e gas.»
«Sembrerebbe promettente.»
«Non siamo obbligati a corteggiarla.»
Nathan non intendeva frapporsi tra quella donna e il suo futuro presso un’altra azienda. E se le sue capacità avessero giovato alla BHI, meritava la possibilità di essere corteggiata. «Se vuoi farle un’offerta, accomodati pure.»
Connor sembrò ignorarlo, e Nathan seguì lo sguardo di suo fratello. Sua moglie Lara stava parlando con un alto cowboy che si stava sporgendo verso di lei. Troppo vicino, a giudicare dall’improvviso cipiglio sul viso di Connor.
«Scusami,» disse Connor, con la mascella serrata, e senza aspettare una risposta si diresse verso sua moglie.
Lasciando Nathan di nuovo da solo, grazie al cielo.
Riprese il suo telefono e tornò alle informazioni su Kelsey. Informazioni? Se fosse stato onesto con se stesso, avrebbe ammesso di non essere interessato solo alla sua biografia. Voleva guardare la sua foto.
Il sorriso della donna sembrava un po’ forzato, come se il fotografo l’avesse spazientita. Ma nemmeno quello sminuiva la bellezza dei suoi occhi nocciola, la pienezza delle sue labbra o la visione dei suoi lunghi capelli scuri.
Tutto di lei lo attirava.
Se l’acquisizione fosse andata in porto, la splendida Kelsey Lane sarebbe diventata la sua assistente.
Quello era un incentivo a lavorare di più e con più impegno.
Una coppia di cui non ricordava il nome si fermò per fare due chiacchere. Nascondendo il suo fastidio, mise via il telefono e strinse la mano dell’uomo.
Ci vollero ben cinque minuti prima che la loro attenzione fosse distolta da qualcos’altro e si allontanassero.
Si chiese quante volte ancora gli sarebbe stato richiesto di sorridere prima di tentare la fuga. Sorprendentemente, stava ancora arrivando gente. Alcuni erano addirittura in limousine, cosa estremamente poco pratica in un ranch, non solo a causa delle strade sterrate ma anche per la distanza da una grande città.
In bilico tra l’irritazione e l’impazienza, guardò l’orologio. Non che fosse proprio un orologio, anche se segnava l’ora con la precisione di quello atomico. L’unità era più simile a un mini-computer. Non aveva bisogno di essere ricaricato perché era alimentato dai movimenti del suo corpo. A parte questo, poteva funzionare anche a energia solare. Quel capolavoro, creato da Julien Bonds, non era solo intuitivo, ma spesso anticipava le azioni di Nathan.
L’apparecchio vibrò. Per rispondere, passò il dito sulla superficie del vetro zaffiro. Apparve un piccolo ologramma di sua cognata Sofia. Sotto di lei c’era un messaggio che lui lesse mentre scorreva. Sofia gli comunicò: “Non sono ancora le otto, Nathan. Ci si aspetta che tu rimanga almeno altre due ore. Promemoria: chiedi a tua madre di ballare. E, a proposito, Connor mi ha appena detto di bloccare il Wi-Fi fino alle undici di sera, anche nella casa degli ospiti, per cui, anche se scappi, non potrai collegarti. Ha detto che è per il tuo bene.”
Ma che cazzo... Stava per far sparire l’immagine, ma quella ricominciò a parlare. “Potresti anche rilassarti, prendere qualcosa da bere e divertirti. Ciao ciao!” Con un allegro e fastidioso cenno di saluto, la sua immagine svanì.
Nathan gemette.
A quanto pareva tutti sapevano che avrebbe preferito essere ovunque tranne che lì. Feste del cazzo. Perdita di tempo. E uno spreco di denaro ancora maggiore.
Si passò il dito lungo l’interno del colletto della camicia. Anche se era ottobre, faceva più caldo che all’inferno al Running Wind, il ranch della famiglia nel sud del Texas.
Se fosse dipeso da lui, sarebbe rimasto a Houston per lavorare all’affare Newman Inland Marine. Si stava avvicinando il momento cruciale. Passava sempre meno ore a dormire, stimolato dalle sfide e dalle opportunità. Era inebriante. Per lui era come una droga. E stava quasi tremando per il bisogno della sua dose.
A salvarlo, passò un cameriere che serviva una varietà di vini, tutti provenienti da uve coltivate in zona.
«Mi servo da solo, grazie.» Poi afferrò un bicchiere contenente qualcosa di rosso.
«Visto che non abbiamo ridotto in cenere in miseria il ranch?»
A quelle parole, Nathan si voltò per guardare sua sorella, Erin. «C’è ancora tempo giusto?» chiese.
«Smettila, taccagno. È divertente.»
«Divertente?» Forse per alcune persone lo era.
«Sofia ha fatto un ottimo lavoro.»
Persino lui lo dovette ammettere, nonostante il costo esorbitante. Nathan aveva deriso tra sé e sé l’idea di Sofia di erigere dei gazebo nella proprietà. Aveva persino chiesto apertamente se l’intera faccenda non sarebbe sembrata un circo.
Ma l’interno di quei gazebo non assomigliava affatto a una tenda. La struttura era enorme, aveva finestre, tavoli, una pista da ballo, porte scorrevoli e, fortunatamente, aria condizionata. Per l’intrattenimento, era persino riuscita a convincere la band di Matthew Martin a interrompere un tour nazionale. Il gruppo era molto famoso, dalle cover alle loro hit da top-ten, dalle ballate al country swing, ed erano persino riusciti a organizzare qualche doveroso ballo in linea. Non male per una band che aveva vinto il premio più prestigioso della musica country per tre volte negli ultimi cinque anni.
«Il nonno dice che questo farà bene agli affari.»
«Non so come sia possibile visto che non abbiamo accesso al Wi-Fi.»
«Per l’amor di Dio, Nathan. Non morirai senza il tuo telefono. Sei sempre stato così noioso? Un tempo mi piaceva uscire con te,» si accigliò. «O almeno così credevo. Forse la memoria mi sta facendo degli scherzi.»
A un certo punto della serata, Erin si era liberata delle scarpe. Si era raccolta i capelli in cima alla testa e aveva intrecciato alcuni piccoli fiori bianchi tra le ciocche.
Aveva scelto un abbigliamento originale, una gonna corta di pelle e un corsetto nero. Ovviamente. «Ti sei vestita così per farmi arrabbiare?»
«Ma per favore.» Erin alzò gli occhi al cielo. «Ficcatelo in quella testa dura. Non tutto gira intorno a te.»
Quella era una vecchia discussione. Nathan ed Erin vedevano le questioni finanziarie in modo diverso. Lei insisteva che lui era troppo cauto, al punto da essere eccessivo e soffocante. A lui non importava affatto quell’accusa. Quando suo padre era morto, Connor aveva ereditato una società diretta verso il disastro. Nathan aveva visto quanto i Donovan fossero stati vicini a perdere un’eredità duramente conquistata e che era stata tramandata attraverso le generazioni. Quando era stato nominato direttore finanziario, aveva giurato di essere un buon amministratore in modo che i futuri Donovan avessero qualcosa di cui essere orgogliosi.
Erin preferiva vivere alla giornata, determinata a fare il meglio che poteva per il mondo. Era una sognatrice, lui un pianificatore. E quando lei gli aveva chiesto di investire nel negozio di corsetti della sua amica, Nathan aveva rifiutato.
Imperterrita, aveva usato i soldi del suo fondo fiduciario per aiutare la sua amica.
«Allora, ti piace?» gli chiese, interrompendo le sue riflessioni.
«Cosa?»
«Il mio outfit.» Lei fece una giravolta. «Sto facendo da modella.»
«Fai cosa?»
«Faccio pubblicità al negozio mostrando quanto sia versatile il capo. Può essere indossato ovunque, anche ad un evento elegante. I corsetti non sono monopolio delle camere da letto.»
«Dovrebbero esserlo.» O di un club BDSM, ovvero dove li preferiva. Adorava stringere una sottomessa in uno di quei corsetti, allacciandolo stretto in modo da potersi deliziare sbirciando la scollatura.
Erin gli tirò un pugno sul braccio.
«E quel girocollo...? Stai facendo da modella anche per quello?»
«Ti riferisci a questo?» Lei toccò lo squisito—e se lui non sbagliava, fottutamente costoso—ciondolo a goccia. «No. No. È stato uno shopping terapeutico.»
«E quale motivo avevi per buttare i soldi in un gioiello stravagante?» Erin aveva ereditato un vero e proprio tesoro dalla loro bisnonna. Di sicuro avrebbe potuto risistemare alcune di quelle pietre.
«L’ho comprato subito dopo il ricevimento del matrimonio di Connor» rispose in modo vago.
Prima che lui potesse chiedere altro, Erin bevve un sorso di vino. «È buono» disse dopo averne bevuto un’altra sorsata. «Perché non hai portato una ragazza? Avrebbe aiutato.»
Lui la guardò. «A questa esibizione di forza?»
Lei scrollò le spalle. «Sai cosa voglio dire.»
Dato che tutti i membri della famiglia erano arrivati venerdì e avevano programmato di rimanere fino a domenica, lui aveva scartato l’idea di portare una donna che conosceva appena per incontrare la famiglia, sopportare domande infinite e condividere il suo spazio.
Nella sua vita c’era poco margine per una relazione e a lui andava bene così. Adorava le sottomesse del Deviation, il nuovo intrigante club BDSM della città. Una visita occasionale soddisfaceva i suoi bisogni primari. E dopo qualche ora tornava a casa, ancora più concentrato sugli affari. Le scene non si limitavano a calmare la sua irruenza, ma gli davano energia.
Con il bicchiere in mano, si avvicinò al suo fratellastro Cade che stava parlando con sua madre, Stormy.
Nonostante Nathan fosse un po’ sorpreso che lei avesse accettato l’invito, era contento di vederla. Per quanto ne sapeva, era il primo evento Donovan a cui avesse mai partecipato.
«Stormy.» Le strinse la mano.
«Nathan. È sempre un piacere.»
La donna era alta, flessuosa e vestita esattamente come ci si aspettava. Al diavolo le convenzioni. I suoi jeans dal taglio stretto erano infilati in stivali che certamente aveva lavorato a mano lei stessa. Portava una maglietta bianca era aderente e indossava un gilet di pelle marrone. Aveva un sorriso vivace, una stretta di mano salda e uno sguardo diretto. Poteva capire perché suo padre, Jeffrey, si fosse innamorato di lei, anche se all’epoca tutti si erano aspettati che sposasse la madre di Nathan.
Il Running Wind Ranch non sarebbe stato quello che era senza la guida di Stormy. E Cade, il fratello maggiore dei Donovan, aveva fatto un ottimo lavoro nella gestione del ranch. Era stata Stormy a lottare per l’eredità del figlio illegittimo e a instillare nella sua anima l’amore per la terra. Anche se Nathan aveva poco interesse in quella parte del business, l’intelligenza e il duro lavoro di Cade l’avevano reso un successo finanziario. E questo, Nathan lo apprezzava.
«Bene, guarda chi c’è» intervenne Cade con un lungo e lento fischio.
Nathan diede un’occhiata alle sue spalle e vide Julien Bonds attraverso la portafinestra. «Non sapevo che fosse atteso.» Un gruppo di persone si era mosso intorno a lui, nascondendolo alla vista del pubblico e all’occhio sempre indiscreto delle telecamere dei cellulari.
«Connor ha insistito per mandare un invito a Bonds» rispose Cade. «Nessuno pensava davvero che si sarebbe fatto vedere, ma Sofia gli ha riservato una casa per gli ospiti, per sicurezza. Immagino che abbia preso un elicottero da Houston.» Nathan scrollò le spalle. «Mi piacerebbe proprio vedere il suo culo da fighetto su un cavallo.»
«Gli darò delle lezioni,» si offrì Stormy.
La donna aveva passato anni a cavalcare ed era un’abile amazzone. Se Nathan ricordava bene, era stata lei a insegnare a suo padre a cavalcare. Quella era stata probabilmente l’estate in cui si erano innamorati. «Voglio chiedergli di alcune funzioni dell’orologio,» disse Nathan.
«Orologio? Hai un orologio Bonds?» Domandò Cade.
Nathan agitò il suo polso.
«Cazzo!» Esclamò Cade. «Come diavolo l’hai avuto?»
«Ho manifestato un interesse a investire. Ha rifiutato. Dice che non vuole quotarsi in borsa e permettere a qualche Consiglio di Amministrazione di interferire con le sue idee creative.» Quell’uomo era sulla buona strada per possedere una delle più grandi aziende private del pianeta. «Come premio di consolazione, me l’ha mandato per il beta testing.»
«E cosa ne pensi?»
«È stupefacente. Ma...»
«Ma?»
«Stravagante.»
Cade si accigliò.
«Suona una musica a tema appena si accende. E l’ologramma—»
«Ha un ologramma?»
«Di Bonds stesso. Ti saluta personalmente e ti suggerisce modi per migliorare la tua vita.» Un ego sbalorditivo. La settimana prima Bonds aveva raccomandato a Nathan di andare a letto un po’ prima e di dormire di più, sostenendo che la sua aspettativa di vita sarebbe aumentata se avesse goduto di più sonno REM. Bonds aveva aggiunto che Nathan sarebbe stato due volte più efficiente se avesse dormito il venti per cento in più, il che era un buon investimento del suo tempo, secondo quanto asseriva quel genio.
Da allora Nathan si toglieva quel cazzo di aggeggio praticamente tutte le sere quando tornava a casa dall’ufficio. Il problema era che era così utile da non riuscire a farne a meno. «Chi c’è con lui?»
«Meredith Wolsey.» Cade prese un sorso della sua birra. «Ho sentito che l’ha portata al ricevimento di Connor.»
«Cosa? Bonds era lì?»
Cade annuì. «Sono rimasti nel patio. Solo una manciata di persone li ha visti. E io non ero tra quelli. L’ho saputo da Sofia.»
«Subdolo bastardo.»
Erin, con un cipiglio determinato che le si insinuò tra le sopracciglia, si avvicinò al loro piccolo gruppo. «Balla con me,» disse afferrando un polso di Nathan e trascinandolo verso la parte anteriore della tenda.
«Volevo solo salutare Julien e Meredith. Vieni con me? È passato molto tempo dall’ultima volta che l’hai visto, vero? Da quella notte—»
«Nathan, per favore,» disse lei.
«Non puoi aspettare?» Nathan si accigliò.
Generalmente Erin era un’ottima padrona di casa, e lui avrebbe scommesso che aveva chiacchierato con tutti i presenti. Ma dal modo in cui lo stava supplicando, guardandolo con uno sguardo implorante, non ebbe scelta. Era sempre stata una peste, la sorellina che riusciva a far fare ai suoi fratelli maggiori quasi tutto quello che voleva. Dopo la morte del loro padre, cosa che l’aveva devastata e che l’aveva costretta a chiudersi in camera per settimane, lei era stata ancora più viziata.
Cade scrollò le spalle come per dire meglio tu che io.
«Adesso. Scusateci,» disse Erin rivolgendosi a Stormy e Cade.
Nathan appoggiò il suo vino mentre lei lo stava già strattonando. «Smettila di trascinarmi,» le disse.
La presa di Erin era disperata e le sue unghie stavano conficcandosi con forza nel suo braccio. Nonostante odiasse ballare, andò con lei.
«Fai strada,» le disse.
Sulla pista, a ritmo di musica, la guidò in un passo a due. «Che cosa succede?»
«Niente.» Erin gli rivolse il suo miglior sorriso.
Se Nathan non avesse notato il modo in cui lei aveva lanciato uno sguardo in fondo alla sala, verso Julien e Meredith e il loro gruppo inatteso di persone, avrebbe anche potuto credere che lei volesse solo ballare. Del resto, aveva rimesso i suoi tacchi da 10 cm.
Erin sprofondò nel silenzio e Nathan la lasciò fare, dal momento che andava bene anche a lui.
Alla fine del brano lei lo ringraziò e poi si scusò per poi dirigersi verso la loro madre, che era seduta ad un tavolo con alcune amiche e sua zia Kathryn... il più lontano possibile da Stormy.
Quando Nathan raggiunse Julien e Meredith, gli entusiasti membri del gruppo di benvenuto si erano diradati e i due erano rimasti con Cade.
Cade presentò Nathan a Meredith, un avvocato che aveva assunto da uno studio prestigioso della California del Nord. La mano di Julien si posò sulla parte bassa della schiena di lei, cosa che Nathan riconobbe come un gesto di disinvolta intimità. Ai suoi occhi erano molto più che soci in affari. E poiché sospettava che Bonds si dilettasse con il BDSM, ci poteva essere anche un po’ di possessività.
Formavano una coppia sorprendente: Bonds con i suoi jeans stretti e aderenti, la camicia elegante, la giacca di pelle, la cravatta stretta e quelle orribili scarpe da tennis che portavano il suo marchio, e Meredith con il suo abito nero aperto sulla schiena. Così come lui aveva i capelli scuri, lei era la sua controparte bionda. Una recente rivista specializzata in celebrità li aveva definiti la più recente coppia di potere.
«Cosa ne pensi del mio capolavoro?» Chiese Julien mentre si stringevano la mano.
«È...» Come poteva dire quello che pensava dell’orologio al suo creatore?
«Ti piace, vero? Devo ancora risolvere alcune cosucce con l’ologramma.»
«A proposito di quello—»
«Il tono della mia voce non è del tutto corretto quando fornisco l’aggiornamento giornaliero.» Scosse la testa. «I miei ingegneri non sono stati in grado di sintetizzarla correttamente.»
«È quello che dovrebbe fare?» chiese Nathan incredulo. «Dirmi che ho bisogno di dormire di più?»
Julien si accigliò. «Ovviamente. Ecco perché la gente lo comprerà.»
«Capisco.» Davvero credeva che la gente volesse essere comandata a bacchetta da lui? Nathan si chiese se quell’uomo fosse un pazzo o un genio.
«A parte quello?» Insistette Julien.
«È dannatamente indispensabile.»
Il cipiglio burrascoso di Julien svanì e un lento sorriso si diffuse sulle sue labbra. «Indispensabile,» ripeté. «Sì.» Poi Julien toccò lo schermo del suo dispositivo. Apparve la sua immagine. «Usare la parola indispensabile nei materiali di marketing.»
L’immagine di Julien si inchinò verso di lui. «Sì, genio.»
La voce e il tono erano perfetti.
Ovviamente gli ingegneri avevano sentito spesso quel termine.
Julien sfiorò la superficie di vetro zaffiro e l’ologramma svanì. «Dove eravamo rimasti? Vorrei congratularmi con il Colonnello.»
Cade indicò il tavolo.
Prima di andarsene, Julien disse: «Entro la prossima settimana ti caricherò l’ultimo aggiornamento del software.»
«Vuoi dire che devo scaricarlo?»
«No. Succederà automaticamente.»
«Quanto è invadente questo aggeggio?»
«Controlla il tuo battito cardiaco quando vedrai una bella donna e poi richiedimelo.» Julien fece un cenno educato con la testa prima di andarsene.
«Penso che voglia governare il mondo,» disse Sofia, unendosi a loro. «Ho colto la parte finale del discorso.»
«Governarlo?» chiese Nathan. «Dominare è più corretto.»
Cade scrollò le spalle.
La band proseguì con una canzone ritmata e annunciò un altro ballo in linea.
«Mostrami cosa sai fare, Signor Donovan,» disse Sofia. «L’unica ragione per cui ho accettato questo lavoro è stato per vederti ballare la line dance. Ricordi?»
A dimostrazione di quanto fosse innamorato, Cade diede un colpetto al suo cappello. «Qualsiasi cosa per la mia signora.»
E così, come se non ci fosse nessun altro sul pianeta oltre a loro due, si diressero verso la pista da ballo.
Nathan riprese la sua posizione preferita, un braccio appoggiato a uno dei tavoli del bancone del bar.
Una brunetta alta con un vestito di paillettes così stretto che avrebbe dovuto impedirle qualsiasi movimento gli passò davanti. Lei catturò il suo sguardo e gli sorrise. Era perfetta: capelli, trucco, corpo.
Si fermò abbastanza a lungo da accettare un bicchiere di vino e lo guardò di nuovo, assicurandosi che lui notasse il suo interesse.
Anziché darsi da fare, Nathan controllò l’orologio. E la sua frequenza cardiaca.
Chiaramente Julien si sbagliava sull’orologio. Non mostrava alcuna reazione alla bomba sexy che gli aveva manifestato la sua disponibilità.
Alzò lo sguardo e notò che lei si era già rivolta a qualcuno molto più ricettivo.
Il che lo lasciava libero di dedicarsi ai propri pensieri. C’era poco che Nathan apprezzasse più della strategia. Tranne la caccia.