Josh McMann scoccò un sorriso alla hostess, prima di lasciare il ristorante di lusso e uscire nella calda serata texana. Nonostante di solito fosse Alex a occuparsi di queste trattative, la cena era andata molto meglio di quanto Josh avesse sperato. Questa non era la sua area di competenza. Era Alex che ci sapeva fare con gli affari. Tyler era l’ingegnere e lui, Josh, era l’architetto. Ma Alex era partito per Phoenix per incontrare un altro potenziale cliente, quindi era stato costretto ad occuparsene lui.
“Li conquisterai proprio come faccio io” gli aveva detto sorridendo Alex, mentre si dirigeva in aeroporto.
“Ma sei tu quello che capisce di numeri e cifre” aveva allora sottolineato Josh.
“Ti ho lasciato un promemoria. Te la caverai benissimo.”
E così era stato. Se l’era cavata egregiamente! Avrebbero firmato il contratto per il nuovo progetto il giorno seguente, poi lui e i suoi fratelli avrebbero avuto l’ennesimo traguardo da festeggiare. La McMann Brothers Development stava lasciando il segno, nel mondo dell’edilizia di qualità. Su questo non c’erano dubbi.
Si voltò verso l’uomo accanto a lui e gli tese la mano. “Faremo un ottimo lavoro per lei, Chuck” disse.
“Non ne dubito.” Chuck Barnes gli strinse la mano. “Ho visto di cosa siete capaci tu e i tuoi fratelli, ne sono rimasto molto impressionato.” Si diede un’occhiata intorno. “Avete fatto voi questo centro commerciale, non è vero?”
“Esatto.” Ed erano decisamente orgogliosi del prodotto finito.
Spanish Oaks era un centro commerciale all’aperto in un esclusivo quartiere residenziale. Tutte le pareti erano state dipinte di bianco, i tetti in tegole erano a botte e gli ingressi delle attività erano tutti decorati con degli archi intagliati. I commercianti, in questo posto, non aspettavano altro che alleggerire le tasche dei residenti benestanti, quindi avevano bisogno anche dell’ambiente giusto. A crearlo ci avevano pensato i fratelli McMann. Alla grande.
“So che potrò contare sulla stessa qualità anche con il Blue Hills Village.”
“Glielo posso assicurare.” E diceva sul serio.
Quando consegnarono i tagliandini del parcheggio al posteggiatore, con il suo Josh gli allungò anche una banconota da venti.
Il ragazzo guardò i soldi e spalancò gli occhi. “Mi scusi, signore? Non vorrei fare quello che guarda in bocca al caval donato, ma credo che mi abbia dato la cifra sbagliata.”
Josh si mise a ridere. “No, i soldi sono tuoi, è solo che la serata mi è andata parecchio bene. Dovrebbero bastare per entrambi, però vai a prendere prima la macchina del mio amico, okay?”
“Sì, signore. Subito, signore.” Prima di partire a razzo, il ragazzo si infilò i soldi in tasca con un gesto rapido, come se avesse paura che avrebbe cambiato idea.
“Mi sa proprio che hai dato una svolta alla sua serata” commentò Chuck.
“Beh, lei ha dato una svolta alla mia, non vedo perché non dovrei condividere tanto benessere.”
Josh si congratulò con se stesso per quanta fortuna aveva avuto. In solo pochi anni lui e i suoi fratelli erano riusciti ad affermarsi come sviluppatori di qualità sia per quanto riguarda le proprietà commerciali che quelle residenziali. Si occupavano di tutto, dal progetto al prodotto finito. Infatti aveva chiesto a Chuck Barnes di incontrarlo in quel ristorante proprio perché si trovava in uno dei migliori centri di lusso che avevano costruito.
“Chiama la mia segretaria, domani” disse Chuck, “così puoi dirle quando passerai per la firma dei documenti. Non vedo l’ora di lavorare con te e con i tuoi fratelli.”
“Grazie.” Josh gli strinse di nuovo la mano. “Allora a domani.”
Il giovane parcheggiatore accostò con una BMW grigia, saltò fuori e si fermò vicino alla portiera aperta.
“Ci vediamo domani” disse Barnes, prima di salire in macchina.
“Vado subito a prendere il suo furgone, signor McMann” disse il ragazzo, correndo di nuovo via.
Josh si infilò le mani in tasca e si appoggiò a una delle colonne alla base della tettoia, voleva concedersi un bel momento per compiacersi del successo della serata. Ma ci vollero solo pochi istanti perché la bella sensazione andasse in frantumi.
“Aiuto” disse una voce femminile. Sarebbe stata anche musicale, senza quella nota di panico. “Aiutatemi, mi hanno rubato la macchina.”
Josh abbandonò le sue fantasticherie e fissò lo sguardo sulla donna che sgambettava in mezzo al parcheggio. E sgambettava era la parola giusta, perché aveva un tutore per camminare che le copriva il piede e le arrivava fin sotto il ginocchio. Le sarebbe finita contro, se non l’avesse afferrata per le braccia.
“Ehi, aspetti un secondo.” Aumentò la presa con le dita, quando lei cercò di liberarsi. “Non credo che provare a correre con quel tutore sia l’idea migliore del mondo. Dunque, ha detto che qualcuno le ha rubato la macchina?”
“Sì.” Si allontanò di scatto da lui e si guardò intorno con occhi stralunati. “Dov’è quell’idiota di un posteggiatore?”
Josh studiò la figura che aveva davanti a lui. Anche con quel buffo tutore, era riuscita facilmente a fargli accelerare il battito cardiaco. Non gli arrivava nemmeno alle spalle, ma l’ansia e la rabbia che provava erano più che sufficienti per compensare la sua taglia minuta. Un leggero maglione blu scuro e una gonna al ginocchio avvolgevano delle curve che, in qualsiasi altra situazione, non avrebbe visto l’ora di stringere tra le mani. I folti capelli castani le ricadevano sul viso, incorniciando un paio d’occhi color nocciola e una bocca sensuale. Riuscì a mettere a fuoco tutto questo in una frazione di secondo, appena prima che lei ricominciasse a urlare, facendo dileguare così la sua reazione fisica.
“Mi ascolti.” Allungò di nuovo una mano verso di lei. Nel suo lavoro era abituato ad avere a che fare con i clienti fuori di testa. Questa situazione non sarebbe stata troppo diversa, no? “Cerchi di calmarsi un attimo e mi dica qualcosa in più sulla sua macchina, magari posso aiutarla.”
Proprio in quel momento, arrivò il parcheggiatore con il pickup super accessoriato di Josh. La donna gli si avvicinò zoppicando a una velocità sorprendente, visto quanto era ingombrante il suo tutore. Afferrò il ragazzino per i risvolti del suo gilet e portò il suo viso alla sua altezza.
“Devi aiutarmi. Subito. Mi hanno rubato la macchina.”
Il ragazzo impallidì e guardò Josh, che nel frattempo aveva seguito la donna.
“E va bene.” Riuscì a staccarle le dita dall’uniforme del ragazzino e la prese per i polsi. “Possiamo fare un respiro profondo e cercare di capire qual è il problema?”
“Il problema” ribatté lei, “è che qualcuno ha appena rubato la mia macchina nuova di zecca. L’avevo parcheggiata laggiù.” E indicò un punto imprecisato in fondo al parcheggio.
“Può essere un po’ più precisa?” Josh stava facendo del suo meglio per cercare portare un briciolo di calma e di buon senso in quella situazione. “Può essere che non si ricorda bene dove l’ha lasciata?”
Si allontanò ancora una volta da lui. “Non credo proprio. E comunque lei chi cavolo sarebbe?”
“Josh McMann.” Incurvò le labbra in quello che le sue ultime tre fidanzate avevano definito un sorriso da infarto, capace di fare sciogliere le donne. Sperava avrebbe funzionato anche questa volta, perché la ragazza tutto pepe che aveva davanti stava per andare in autocombustione. “Perché non mi dice chi è lei?”
“Vanessa Bowen. Detta Ness. Non trovo più la mia BMW nuova di zecca.” Il suo viso fu invaso dal panico. “Non aveva nemmeno cinquanta chilometri.”
Josh guardò il posteggiatore. “Gliel’hai parcheggiata tu?”
Quello scosse la testa, pallido e terrorizzato.
Questo ragazzo guadagna il minimo sindacale più le mance. Non ci dirà mai di sapere dove si trova una macchina così fuori dalla sua portata.
Ness agitò le mani in aria. “Assolutamente no. Credi che l’avrei affidata a un idiota del genere?”
Così si fa amicizia, pensò Josh, sfoderando il suo miglior sorriso. “Ehi, ehi, ehi. Manteniamo la calma, così capiamo cosa sta succedendo.”
“Quello che sta succedendo è che la mia macchina è stata rubata.” Prese un bel respiro ma, quando fece per buttare fuori l’aria, scoppiò a piangere.
Josh guardò il parcheggiatore, poi scrollò le spalle e si tirò fuori un fazzoletto dalla tasca.
Lei lo fissò per qualche istante, il viso rosso e rigato dalle lacrime, e prese il fazzoletto.
“Grazie. Non so cosa mi sia preso. Di solito non mi metto a urlare come una pazza e non scoppio a piangere.” Gli fece un sorriso umido. “Almeno non in pubblico.”
Lui aspettò di essere sicuro che si fosse ricomposta, prima di parlare di nuovo. “Forse,” disse con voce rassicurante “se ci mostrassi il punto esatto in cui hai parcheggiato, potremmo trovare qualche risposta. Magari c’è una telecamera di sicurezza, so per certo che questo centro commerciale ne ha diverse.”
“Okay.” Si asciugò ancora gli occhi e fece per restituirgli il fazzoletto.
“Tienilo pure.” Le sorrise. “Potrebbe riservirti.”
“Oddio,” disse lei con un sospiro “spero proprio di no. Te lo giuro, solitamente non faccio queste sceneggiate. È che… è solo che… ho avuto una settimana davvero schifosa.”
“Non ti preoccupare. Anche a me capitano settimane del genere.”
Aprì la bocca per dire qualcosa e le parole caddero fuori. “Ho fatto incidente con la macchina, che si è completamente distrutta, e la compagnia di assicurazioni ci ha messo un’eternità a rimborsarmi il danno, poi mi sono rotta la caviglia e il ragazzo con cui mi vedo, anzi con cui mi vedevo, è partito per la nostra vacanza insieme a un’altra persona e…“ Si portò una mano alla bocca.
Ricominciò a piangere. Oltre alla caviglia rotta, sembrava anche essere parecchio stressata. Che razza di stronzo partirebbe con un’altra donna, quando quella con cui ha pianificato le vacanze si è rotta qualcosa?
“Non ho sentito niente” la rassicurò.
“Ti chiedo scusa. Non sono affatto così, te lo giuro.” Si sforzò di ricomporsi.
“Allora, che ne dici di mostrarmi dove hai parcheggiato?”
Gli prese una mano. “Di qua, andiamo.”
Il posteggiatore sembrò svuotarsi per il sollievo. “Metterò il suo furgone qui di lato, signor McMann.”
“Buona idea.” Fece scivolare un’altra banconota arrotolata nella mano del ragazzo. “Tienimelo d’occhio, va bene?”
“Certo.” Si infilò i soldi in tasca e si girò verso gli altri clienti in attesa.
Ma Ness Bowen lo stava già trascinando lungo il marciapiede, oltre il ristorante e la folla incuriosita che aspettava le proprie auto. Non aveva alcun problema a stare al passo con lei, visto che aveva anche un tutore. Lo preoccupava di più la presa mortale in cui teneva stretta la sua mano e che gli stava bloccando la circolazione alle dita. Ormai avevano superato tre vetrine, quando lei gliela lasciò andare, si scostò i capelli dal viso e indicò un parcheggio vuoto.
“Qui.” Indicò un punto. “Era proprio qui.”
Josh guardò meglio. Sì, in effetti il posto era vuoto. Ma c’era anche un cartello bianco e blu, impossibile da non vedere, con la scritta Parcheggio riservato ai disabili.
Josh non sapeva se arrabbiarsi per la stupidità della ragazza o se mettersi a ridere.
“Vanessa,” iniziò a dire.
“Ness,” lo corresse lei.
“Va bene, Ness.” E che cavolo cambia? “Hai parcheggiato in un posto per disabili. Secondo me la guardia del centro commerciale ti ha fatto portare via la macchina.”
Ness si passò le dita tra i capelli. “Ma ho un permesso temporaneo.”
“Per via del tutore?”
Lei annuì con un sospiro esasperato. “Accidenti. Devo essermi scordata di esporlo.”
Josh mandò giù un sospiro. Perché capitavano tutte a lui? I suoi fratelli dicevano sempre che era nato con il gene del principe azzurro, e per questo attirava solo donzelle in difficoltà.
“Forse è l’unico modo che hai di rimediare” aveva scherzato Tyler una sera, spostandosi appena prima che Josh potesse colpirlo.
Tirò fuori il cellulare e compose il numero per la sicurezza al centro commerciale. Tra le chiamate rapide teneva sempre la sicurezza di tutti i progetti della McMann, anche dopo che erano stati completati.
“Sì, salve” disse, quando rispose una voce maschile. “Sono Josh McMann. Ragazzi, per caso avete fatto portare via una…” lanciò un’occhiata a Ness.
“BMW bianca” disse lei. “Con gli interni blu scuro. Con un solo giorno di vita” aggiunse poi, con la voce piena di ansia.
Josh ripeté le informazioni. “Va bene, grazie. Ok, sì. Aspetti un secondo” premette un pulsante sul telefono, tirò fuori una penna sottile e scrisse qualcosa. “Fatto. Ci pensiamo noi.”
Attaccò e si rimise il telefono in tasca.
“Beh?” Ness sembrava più calma adesso, nonostante l’ansia che le riempiva il viso.
“L’hanno fatta rimorchiare. Circa un’ora fa.” La guardò, curioso di sapere come fosse successo. “Eri dentro il ristorante? Perché non l’hai data al parcheggiatore?”
Lei si sistemò i capelli dietro l’orecchio. “Perché ho appena fatto demolire un’auto, giusto un paio di settimane fa. Speravo di avere almeno altre ventiquattro ore, prima di farne ammaccare un’altra. Mi sembrava la soluzione più sicura.”
“Eri con degli amici?” Aveva la sensazione di doverle tirare fuori le informazioni con le pinze. “Dove sono andati? Uno di loro può accompagnarti a riprendere la macchina?”
Sospirò, giocherellando di nuovo con i capelli. “Era una cena di lavoro. Non posso certo chiedere a un cliente di portarmi a riprendere la macchina che mi è stata portata via. E comunque se n’è già andato.”
“Niente amici, quindi. Solo un cliente.”
Lanciò uno sguardo al tutore, poi tornò a concentrarsi sul suo viso, con un sopracciglio alzato.
Lei raddrizzò le spalle, cercando di sembrare più alta. “La caviglia rotta non influisce sulla mia capacità di fare affari. Non parlo mica con i piedi.”
Josh trattenne un sorriso.
“Beh, rimane comunque in una situazione complicata, no?”
Fece di nuovo quella cosa di raddrizzare il corpo, guadagnando in qualche modo un paio di centimetri. “Sono più che in grado di badare a me stessa, grazie mille.”
“È un dato di fatto?”
“Sì, senza dubbio.” Pronunciò quelle parole con grande indignazione. Cercò di tirare su le spalle il più possibile.
“Quasi non ci credevo.”
“E comunque, ti ho già disturbato abbastanza. Vado nel ristorante e mi faccio chiamare un taxi.”
“Perché non lo chiami da sola?”
Lei distolse lo sguardo. “Ho il telefono scarico. E puoi risparmiarti eventuali osservazioni stupide al riguardo.”
Si voltò e iniziò sgambettare sul marciapiede, infilandosi il fazzoletto in tasca.
“Aspetta.” Josh l’afferrò per un braccio. “Aspetta un attimo, no? Non c’è bisogno di chiamare un taxi, ti accompagno io. Non è un disturbo.”
Quante volte l’aveva detto, in vita sua?
Si fermò quasi a metà passo e lo fissò. “E perché lo faresti? Non mi conosci nemmeno.”
Le sorrise. “Conosco il tuo nome, il tipo di macchina che guidi e che hai un piede o una caviglia rotta. È più di quanto sappia di molte altre persone.”
Comprese alcune delle donne con cui esco. Questo cosa dice di me?
“E ti basta sapere questo, per darmi un passaggio?” Inclinò la testa con in una strana angolazione. “E se avessi una pistola nella borsa e te la puntassi contro?”
Non riuscì a evitarlo. Scoppiò a ridere. Di gusto. Era una piccola diavoletta. Gli faceva venire voglia di prenderla in braccio e...
Uh oh. No, non cominciare.
Ness Bowen lo guardò torva. “Beh, potrei farlo.”
Josh si riprese. “Se davvero hai intenzione di spararmi, allora ti suggerisco di non dare tutto questo spettacolo. Altrimenti, quando troveranno il mio corpo, la gente si ricorderà di te.”
“Stai ridendo di me.” Il suo sguardo era accusatorio, oltre che rabbioso. Ma era sempre meglio del pianto a dirotto di prima.
“No, mia cara. Rido di questa situazione.” La prese di nuovo per il braccio. “Andiamo. Si sta facendo tardi e dobbiamo ancora andare prendere la sua macchina. Altrimenti come ci torni a casa?”
Lo incenerì con lo sguardo, ma si lasciò condurre verso il furgone. Pensò che si sarebbe ribellata, quando l’aiutò a salire, ma perfino lei si era resa conto che non sarebbe riuscita tanto facilmente ad arrampicarsi sui gradini con quel tutore
Josh ringraziò il parcheggiatore e saltò al posto di guida, lanciando un’occhiata a Ness.
“La cintura” le ricordò, nascondendo un altro sorriso allo sguardo che si dipinse sulla sua faccia.
“Lo so” borbottò lei, fissando la cintura con un click. Poi, mentre lui si immetteva nella strada, si schiarì la voce. “Voglio che tu sappia che di solito non mi comporto mai come stasera.”
“Ehi. Eri stressata e in una situazione complicata. Non è grave.”
“Sì, invece” insistette lei. “Io non ho mai, mai delle crisi del genere. Mai.”
“Okay.” Pensò che, meno ne parlava, meglio era. “Allora, come mai hai dovuto mettere il tutore?” le chiese.
“Il tutore?”
“Sì. Sai, quell’affare alla fine della tua gamba.”
Vanessa, che teneva le mani in grembo, le strinse a pugno. Il suo tutore. Beh, era ovvio che voleva sapere come mai aveva il tutore. Ma dal momento che gli aveva già dimostrato di essere una sciocca in almeno sei modi diversi, non era sicura di volerglielo dire. Di sicuro già la considerava una pazza. La scomparsa della sua macchina l’aveva talmente scossa che il suo solito aspetto professionale era andato a farsi benedire, lasciandola vulnerabile e indifesa.
Complimenti, Ness.
“Il tutore” la esortò Josh.
“Un… un incidente.” Ecco. Magari così non le avrebbe chiesto nient’altro.
“Un incidente, eh? Di che tipo?”
Riusciva a sentire, più che vederlo, il suo sguardo su di lei. Poteva percepire il blu sfolgorante di quegli occhi, gli stessi che l’avevano osservata a lungo sul marciapiede. Perché il suo principe azzurro non era un uomo sulla sessantina, con una leggera pancetta, i capelli grigi e le borse sotto gli occhi? Invece davanti a lei aveva un bel… hmm, vediamo… metro e novanta di pura e appetitosa virilità. Con folti capelli neri, rifiniti in un taglio costoso. E con delle ciglia, altrettanto folte e altrettanto nere, che incorniciavano quei sorprendenti occhi azzurri. Il resto del viso era messo in risalto da una mascella squadrata. Di sicuro la giacca doveva essere su misura, per adattarsi così bene a quelle spalle larghe, ed era chiaro che i pantaloni, che gli aderivano ai fianchi snelli e alle gambe lunghe, erano stati realizzati su ordinazione. Il suo outfit era perfettamente completato da una camicia di seta azzurra, un paio di stivali di pelle fatti a mano e un cappello Stetson.
Emanava ricchezza. E autostima. Era proprio il tipo di uomo con cui aveva a che fare ogni giorno, nel suo lavoro alla Hallowell Corporation. Ma è ovvio che, dopo la figura appena fatta, non avrebbe osato dirglielo. Lui avrebbe di certo pensato che gli stava mentendo.
Ma tanto che importava? Aveva chiuso con gli uomini belli e sexy. Una volta aperta la confezione, erano tutti dei bugiardi e degli approfittatori, che la scaricavano senza nemmeno dirglielo e che si stupivano perché lei, diversamente da loro, non desiderava solo fare sesso bollente e disinteressato. Per loro il mondo era come un gioco delle sedie del sesso, non dovevano fare altro che cambiare posto ogni volta che la musica si fermava.
E ogni volta che succedeva, il senso di umiliazione era sempre più grande e aveva bisogno di più tempo per riprendersi. Non era ancora riuscita a superare la rabbia che provava per Seth, che le aveva mandato un messaggio – un messaggio – per dirle che non si l’avrebbe raggiunta all’elegante evento aziendale a cui lei lo stava aspettando. Ah, e poi aveva pensato che sarebbe stata una buona idea chiederle di rallentale le cose. Non è niente di che, vero Ness? Certo, non era stato d’aiuto nemmeno il fatto che, il giorno dopo, l’aveva visto sui giornali e su Internet con la sua nuova fiamma.
Aveva chiuso con quelle storie. Per essere una donna intelligente, faceva un gran bel numero di scelte stupide, nel reparto della vita amorosa. Ma d’ora in poi non sarebbe più stata la fiamma di nessuno.
“Ness?”
La voce profonda di Josh, con un timbro che le attraversò tutto il corpo e le fece aumentare il battito, irruppe nei suoi pensieri.
“Ehm, sì?”
“Non mi sembra una domanda tanto difficile.”
“Mi hai fatto una domanda, giusto. Potresti ripeterla? Per favore?”
Ascoltalo, invece di fantasticare su di lui.
“Certo.” Stava di nuovo ridendo di lei? “Ti ho chiesto che tipo di incidente è stato. Quello con cui ti sei procurata quel bel tutore. E a proposito, è il piede o la caviglia?”.
“La caviglia.” Avrebbe voluto avere una giacca dentro cui affondare. “È stato… ehm… un incidente automobilistico.”
“Automobilistico” ripeté lui. “Quindi con la macchina?”
“Sì, automobilistico vuol dire quello” sbottò lei, affondando le unghie nel palmo delle mani. Ora erano sull’interstatale, e sperava che arrivassero velocemente al deposito, prima che lei si trasformasse in una bisbetica ingrata o che avesse un’altra crisi.
“Allora, è questo che intendevi, quando hai detto che hai appena fatto demolire un’altra macchina?”
“Uhuh”.
Ora smettila, ti prego.
“Beh, manca ancora un po’, per arrivare al deposito” le disse, in tono colloquiale, “quindi perché non mi racconti cosa è successo?”
Giusto. Cosa è successo. Ero in ritardo per un appuntamento e stavo cercando di fare una chiamata mentre sterzavo nel traffico, quando ho avuto un incontro infelice con un camion della spazzatura.
“Diciamo che ho avuto una specie di divergenza con un camion della nettezza urbana” disse a bassa voce.
“E chi è stato a divergere?”
La stava prendendo in giro?
“È stata colpa sua” sbuffò. “In quel momento non avrebbe dovuto trovarsi dove si trovava.”
Josh rise di nuovo, un suono morbido e caldo che le scivolò addosso come cioccolato fuso. “Lasciami indovinare. Era parcheggiato mentre veniva raccolta l’immondizia?”
Per poco Ness non lo schiaffeggiò. “Era troppo in mezzo alla strada, le macchine non riuscivano a passare.”
“Perché ho l’impressione che tu non mi stia raccontando tutta la storia?” Si immise sulla rampa di uscita e poi imboccò la strada di fronte.
“Questo è tutto quello che devi sapere. Comunque, mentre cercavo di frenare ho storto troppo il piede e mi sono rotta la caviglia. Fine della storia.”
“Beh, non direi. La tua macchina si è distrutta, giusto? Ecco perché quella che stiamo andando a recuperare è nuova di zecca.”
“Sì, l’ho presa giusto ieri. Il primo giorno che ho ricominciato a guidare.” Non avere un mezzo era stata una tale rottura. “Ed è meglio che non me l’abbiano danneggiata! Comunque ora basta, non ne voglio più parlare.”
Né di questo né di altro.
La cosa che imbarazzava di più Ness, più dell’inconveniente o di quanto le sarebbe costato riprendere la sua macchina, era il fatto che questa storia la faceva sembrare una svampita totale. E anche una piagnucolona. Che imbarazzo. Era la vicepresidente di un’azienda, per l’amor del cielo. Creava strategie di marketing e dirigeva importanti campagne di pubbliche relazioni. Guadagnava uno stipendio a sei cifre e viveva in un appartamento costoso. Ed era sicura – ne era assolutamente sicura! – che Josh McMann, che era a suo agio con i suoi vestiti e con il suo furgone super accessoriato, la considerasse senza cervello.
Conosceva bene quelli come lui. Facevano tutti parte di un metaforico, arrogante club per soli uomini. Sapeva cosa volevano. Una donna brava a letto ma non troppo aggressiva. Intelligente ma non più sveglia di loro. Di successo ma non abbastanza da essere in competizione. E in più, le dovevano andare bene le relazioni senza vincoli e le storie da una botta e via, perché ‘beh, c’è un intero mondo che ci aspetta, là fuori. Giusto piccola?’ Ness sapeva di essere una sfida per gli uomini con cui usciva, perché lei voleva di più. Voleva qualcuno che la apprezzasse come persona. Peccato che invece di solito sceglieva uomini che poi si rivelavano degli idioti egocentrici e che si dimenticavano di lei quando la novità della storia si affievoliva. Dato che era un dirigente aziendale di alto livello, davano per scontato che avesse il loro stesso atteggiamento disinvolto, nei confronti delle relazioni. Okay. Aveva provato l’altro lato della medaglia, ma la sua unica avventura con un motociclista si era rivelata un disastro. Subito dopo lui era scomparso per due mesi per fare un viaggio con i suoi amici. La sua reazione quando lei si era rifiutata di tuffarsi di nuovo nel suo letto? ‘Ehi, piccola, abbiamo solo fatto un giretto. Qual è il problema? Pensavo che dopo ti avrei ritrovata qui.’ E poi era scoppiato a ridere.
Dopo tutte quelle disavventure, ormai era arrivata alla conclusione che i suoi migliori partner sessuali erano stati quelli chiusi nel suo cassetto dei sex toy. Non litigavano con lei, non si dimenticavano degli appuntamenti e si assicuravano sempre che fosse soddisfatta.
“Eccoci arrivati.” La voce di Josh infranse le sue divagazioni mentali.
Ness si guardò intorno. Di certo non era la parte migliore della città.
Josh si era fermato davanti a un cancello di ferro alto che si estendeva per tutto l’ingresso. Sulla sinistra c’erano due lampioni dalla luce molto forte, uno dei quali illuminava quella che sembrava essere una specie di interfono. Diversi passi più avanti si trovava un brutto edificio di mattoni gialli con una luce accesa all’interno.
“Forse devi farti aprire” disse Josh. “Forza, non mi piace lasciarti qui troppo a lungo.”
Ness si slacciò la cintura, determinata a scendere dal furgone da sola e a riprendersi un po’ della sua dignità. Ma Josh aprì subito la portiera e la aiutò. La sensazione delle sue mani forti sulla vita la fece scuotere da un formicolio indesiderato. Si diresse verso la colonnina, con la mano di Josh sul gomito a sorreggerla. Non voleva ammetterlo, ma questa situazione le faceva piacere, nonostante quanto minaccioso e ostile fosse quel posto. Premette il pulsante per parlare.
“Sì?” La voce sembrava quella di qualcuno che aveva fumato troppi pacchetti di sigarette.
“Sono qui per ritirare la mia macchina.” Che mi avete quasi rubato.
“Va bene, ma entri solo lei. Da sola.”
Josh si sporse in avanti. “È infortunata, non la lascerò entrare da sola.”
“Entra solo il proprietario dell’auto” rispose la voce. “È la regola.”
“Posso chiamare un poliziotto che venga ad aiutarla, se preferisce.”
Ness non era sicura se l’irritazione nella sua voce fosse causata da quella persona molto scortese o da lei e la sua situazione.
“Ho bisogno di un aiuto” aggiunse Ness. Perché, a parte tutto il resto, al momento non voleva che Josh McMann la lasciasse andare.
Ci fu una pausa. “Va bene. Ma vi avviso, sono armato.”
“Ma che posto amichevole” borbottò Josh.
Arrivare fino all’edificio fu uno strazio, e il dover pagare quella che considerava una cifra spropositata fu esasperante. Ma alla fine ottenne la ricevuta e Josh la aiutò a scendere di nuovo verso il parcheggio. Dato che il piccolo cancello dell’edificio si era chiuso con un clic dietro di loro, Josh raggiunse il furgone sulla macchina di Ness, una BMW nuova di zecca di un bianco brillante che faceva contrasto con gli interni blu scuro. Il suo orgoglio e la sua gioia.
“Grazie per l’aiuto” gli disse con una voce formale. “L’ho apprezzato davvero.”
“Prego.” Sorrise. “Almeno così posso mantenere la mia condizione di principe azzurro.”
Lei se ne stava seduta lì, aspettando che lui uscisse, quando, di sua spontanea volontà, la sua bocca si aprì facendo uscire fuori delle parole.
“Per ringraziarti lascia che ti porti fuori a cena.” L’ho davvero detto ad alta voce? Le parole le sembravano essere state pronunciate da qualcun altro. Portarlo fuori a cena? Devo essere impazzita, non c’è dubbio. Dal modo in cui lui la guardava, nel bagliore della luce dei riflettori, sembrava che pensasse la stessa cosa.
“A cena” ripeté.
Che cavolo. Posso rimangiarmelo? Perché, perché, perché l’ho detto?
“Ehm, beh, sì. Mi sembra la cosa più gentile da fare, visto che ti sei preso tanto disturbo per me.”
Le prese una mano e la sollevò dal volante, strofinando sensualmente il pollice sulle sue nocche. Accidenti. Ecco di nuovo quei brividi.
“Non posso dire di non essere sorpreso, ma mia madre mi ha insegnato a non essere mai scortese con una signora. Quindi sì, una cena è un’ottima idea. Posso prenotare per... A che ora è meglio, per te?”
Ness si irrigidì. Era sicura che l’idiota pensasse di stare facendo una cosa garbata, prendendo tutto in mano lui, ma accidenti. Era lei ad avere in mano questa situazione. Lei!
“Visto che ti ho invitato io” disse, liberando gentilmente la mano, “perché non lasci organizzare a me e non pensi solo a incontrarmi lì?”
Josh sollevò un angolo della bocca. “Una donna indipendente.” Poi abbassò lo sguardo sul suo piede. “In un certo senso.”
“In un certo senso” sbuffò lei. “Hai un biglietto da visita? Così posso chiamarti o scriverti i dettagli.”
Lui alzò un sopracciglio. “Come per un incontro di lavoro.”
Bene, allora capisce. “Sì, esatto. Si tratta proprio di questo. Tu mi hai aiutato a uscire da una situazione imbarazzante e io voglio ricambiare il favore. E ora penso di dover tornare a casa.”
“Certo.” Tirò fuori dalla tasca interna un porta tessere di pelle, estrasse una biglietto e con una penna e scarabocchiò qualcosa sul retro. “Ecco il mio cellulare e la mia email.” Quando lei lo prese e lo infilò nella borsa, lui si slacciò la cintura e aprì la portiera. “Ti seguo con la macchina. Visto che devo guadagnarci una cena, ormai mi sento obbligato ad assicurarmi che arrivi a casa sana e salva.”
Così saprà dove abito.
Beh, e allora? Non è mica un serial killer. E poi mi troverebbe facilmente sull’elenco telefonico.
“Non è necessario” gli disse, “ma grazie lo stesso.”
Ma lui mantenne la parola, e rimase appiccicato al suo paraurti anche mentre lei si fermava nel parcheggio sotterraneo del suo condominio. Quando provò goffamente a scendere dalla macchina, lui saltò fuori dal furgone per aiutarla, accompagnandola fino all’ascensore.
“Posso cavarmela da sola” insistette lei.
“In questo momento i tuoi precedenti dicono l’esatto il contrario” la prese in giro lui, premendo il pulsante per salire. “Cerca di stare bene” le disse, mentre la porta dell’ascensore si apriva.
“Farò del mio meglio.” Lo fissò, sopraffatta dall’impulso di colpirlo con la borsetta. “Almeno fino alla nostra cena. Non vorrei che tu ti perdessi questo pasto.”
Mentre le porte si chiudevano con un sibilo, l’ultima cosa che vide fu l’immagine dell’uomo più sexy che avesse mai incontrato, con le mani in tasca e un lampo di malizia negli occhi.
Oh, sono davvero nei guai.