«Alyson, mi rendo conto di essere uno psicologo clinico, ma la mia specializzazione, come ben sai, è la psicologia criminale. Cosa diavolo ti fa pensare che io possa aiutare questo ragazzo?»
«Non è un ragazzo, Joe, è un giovane uomo. Ha attraversato il tipo di trauma che avrebbe trasformato la maggior parte di noi in relitti farfuglianti ed è sopravvissuto, contro ogni previsione. Ma non riesco a convincerlo a fidarsi abbastanza di qualcuno da poterlo aiutare. È così chiuso che si limita a... funzionare.»
«Cosa vuoi dire esattamente?»
«Si prende cura delle sue esigenze basilari. Mangia. Si lava. Fa i lavori domestici. Ma non è stato in grado di tornare al lavoro e ha incubi orribili. Non credo che dorma bene da mesi.»
«Cos’è che non mi stai dicendo? Dev’esserci qualcosa...»
«Leggi il suo fascicolo. Giuro che ti pago una cena.» Il tono leggermente suadente lo fece innervosire e Joe si ritrovò ad accettare solo per chiudere la telefonata con quella donna fastidiosa.
«Va bene. Mandamelo e gli darò un’occhiata, ma questo è tutto, Alyson. Non ti prometto nulla.»
Sentì il trionfo di lei risuonare attraverso il ricevitore mentre riponeva il telefono nella sua base. Conosceva Alyson Bell da diversi anni. Era molto rispettata e, nonostante non gli piacesse, sapeva che era brava nel suo lavoro. Già in passato gli aveva mandato dei pazienti quando le capacità dei colleghi della clinica privata in cui lavorava non erano state sufficienti. Joe non si faceva illusioni, sapeva di essere l’ultima spiaggia. Ma era proprio quello che lo intrigava: aiutare alcuni pazienti era una sfida a cui tutti gli altri avevano rinunciato.
Era venerdì sera e non vedeva l’ora di godersi il primo weekend libero in quasi due mesi. Prese di nuovo il telefono e chiamò il suo socio in affari e migliore amico.
«Heath. Come va?» chiese Joe.
Sorrise mentre ascoltava le informazioni trasmesse da Heath sui corsi della settimana a venire presso il The Edge, la società di formazione aziendale che gestivano insieme. Divideva il suo tempo tra il suo studio privato in ascesa e quella che si stava trasformando in un’impresa commerciale di grande successo.
«Ci vediamo lunedì come previsto. Goditi il fine settimana libero» disse a Heath cercando di non sembrare troppo geloso. Il suo socio rise consapevolmente. «Non sembri molto sincero, amico mio. Cosa hai intenzione di combinare?»
Heath, dopo aver risposto, gli chiese come intendeva passare lui il weekend. In verità Joe stava ancora cercando di decidere come impiegare il suo tempo libero. «Non lo so. Forse faccio un salto all’Underground, stasera.»
Giocherellava con una penna sulla scrivania, poi la lasciò cadere mentre Heath gli dava un paio di suggerimenti molto dettagliati su cosa avrebbe potuto offrire una notte all’Underground.
«È passato così tanto tempo che penso di aver dimenticato come usarne uno!» sbottò Joe.
Uno sbuffo di incredulità risuonò lungo la linea, seguito da alcuni commenti caustici.
«Vado solo a bere qualcosa, e forse mi concederò un po’ di innocente voyeurismo. In ogni caso, non farà certo male agli affari, se mi presento.» Joe tenne il telefono lontano dall’orecchio e aspettò che la risata si placasse.
«Bene. Ridi pure. So che “solo guardare” non è mai stato il mio forte, ma sono stufo dei sottomessi con gli occhi da cerbiatto che vogliono giocare solo per una notte, per poi tornare nei loro piccoli mondi sicuri. Ho quasi trent’anni, Heath. Voglio qualcosa di più e l’uomo che cerco deve essere là fuori da qualche parte.»
Inclinò indietro la sedia e sorrise alle parole gentili che seguirono.
«Va bene, va bene! Ventotto anni non sono trenta!» disse Joe. «Sì, mi divertirò. Sì, starò attento e no, non ti racconterò niente, domattina. Buonanotte, Heath.»
Cominciò a riordinare il suo ufficio e si preparò ad andarsene, lasciando che la sua mente tornasse indietro alla prima volta che lui e Heath si erano incontrati. L’Underground era un club privato esclusivo e costoso in cui si riuniva la scena BDSM gay di Londra. Joe stava oziando al bar principale, desiderando con tutto il cuore un morbido merlot mentre beveva un bicchiere di qualcosa a base di mango e mela che il barista lo aveva convinto a provare. Comprendeva perfettamente la politica “niente alcol” del club, ma a volte era uno strazio per le papille gustative.
Heath aveva attirato gli sguardi di tutti i presenti quando aveva attraversato il locale, con le lunghe gambe e il sedere sodo inguainati in aderenti pantaloni di pelle e il busto avvolto in una camicia grigio argento quasi trasparente. C’erano stati alcuni sospiri delusi quando era diventato ovvio che non si trattasse di un nuovo, tenero sottomesso, ma di un giovane Dom sicuro di sé che avrebbe rappresentato una pericolosa concorrenza per tutti loro.
Aveva ordinato dell’acqua con una spruzzata di lime, aveva dato un’occhiata alla miscela fruttata di Joe con un sorrisetto e si era presentato. «Heath Anders. Ho bisogno di qualcuno che mi faccia da maestro e mi dicono che tu sei il migliore.»
Era iniziato tutto da lì, e Joe si era goduto ogni momento in cui aveva mostrato al suo volenteroso allievo cosa significasse essere sottomessi e come essere il miglior Dom in circolazione. A quell’amicizia era seguita la partnership e lo sviluppo di The Edge, che era diventata qualcosa di più di una semplice società di formazione aziendale. L’Underground aveva fornito loro una serie di ottimi clienti e Joe era orgoglioso del fatto che stessero contribuendo attivamente a rendere il loro mondo più sicuro e più rispettoso dei bisogni altrui.
Joe indossò il suo soprabito di cashmere scuro, spense le luci e uscì nella fredda notte londinese. Il suo ufficio non era lontano dalla piccola e appartata stradina pedonale in cui viveva quando non lavorava al The Edge. La casa valeva una fortuna e gli era stata lasciata dalla sua affettuosa nonna quando, sette anni prima, era venuta a mancare. Era in una di quelle graziose stradine londinesi che non venivano mai visitate dai turisti, nascosta dalle arterie principali. Il ronzio del traffico londinese era attutito quasi fino al silenzio. Sul pavimento acciottolato si affacciavano due file parallele di piccoli edifici, cinque su ogni lato, ciascuno con un grande giardino recintato sul retro, e Joe abitava nella casa in fondo al cul-de-sac. Girò la chiave nella serratura di ottone lucido ed entrò nella sua oasi personale.
Sapeva che se non si fosse preparato e fosse ripartito subito, si sarebbe sistemato in poltrona con un libro e un bicchiere di vino, e sarebbe rimasto lì tutta la notte. Lui aveva molta autodisciplina, quindi si fece la doccia, si rasò e si passò le dita tra i corti capelli biondi. Vestirsi fu un po’ più difficile. Non poteva sfoggiare un abbigliamento in pelle come Heath, ma aveva bisogno di qualcosa che non fosse troppo noioso o conservatore. Optò per un paio di pantaloni neri attillati e una camicia di seta verde scuro. La fascia di pelle borchiata intorno al polso e gli scarponi con le fibbie erano concessioni per entrare nella parte. Si infilò di nuovo il cappotto, chiuse a chiave la porta e tornò fuori nella notte.
L’Underground occupava i due livelli sotterranei sotto un edificio dall’aspetto innocente in una stradina secondaria di Westminster. Un numero sorprendente dei suoi membri aveva legami con il governo, il che rendeva quella posizione comoda. Per Joe fu una piacevole passeggiata di meno di un chilometro. All’ingresso principale si accedeva tramite una tastiera elettronica, anche se Joe sapeva che i due uomini in abito scuro appoggiati al muro di fronte stavano facendo un lavoro deliberatamente scadente nel sembrare poco appariscenti perché erano le guardie di sicurezza del club. Fece capire con un sorriso di averli riconosciuti e in cambio ne ricevette due enormi.
Digitò il suo codice a sei cifre sul tastierino e aprì la porta, entrando in un ascensore dotato di un solo pulsante. Nessun altro posto dove andare. L’ascensore, misericordiosamente privo di musica, scese dolcemente e lo fece uscire in un altro mondo. Una morbida moquette bordeaux attutì i suoi passi mentre si avvicinava a una scrivania di mogano gestita da un ragazzo con i capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sul nasino grazioso. Il giovane alzò lo sguardo e Joe notò che i suoi occhi verdi si spalancarono. Fece al ragazzo un sorriso rassicurante.
«Buonasera, Christian. È bello vederti.»
«Buonasera, Signore.» Christian recuperò la calma molto rapidamente. «C’è qualcosa che posso fare per lei questa sera?»
Joe si tolse il cappotto e lo consegnò. «Puoi far sapere a Carey che sono qui e chiedergli se vuole unirsi a me per cena?»
«Certo, Signore. Desidera aspettare nel salone?»
Joe annuì e una porta alla sua sinistra si aprì con un clic quando Christian premette un pulsante sotto la scrivania.
Il salone avrebbe potuto facilmente passare per quello di un normale club per gentiluomini. Un’illuminazione tenue riscaldava gruppi sparsi di poltrone in pelle. Piccoli tavolini reggevano bottiglie d’acqua e bicchieri pieni di ghiaccio. C’erano già diversi uomini seduti – alcune coppie e piccoli gruppi, e uno o due individui sedevano da soli. Joe scelse un’alcova con un paio di sedie vuote e si sedette su una di esse. Sguardi apertamente curiosi vennero lanciati nella sua direzione, e lui salutò quelli che conosceva con un cenno del capo.
Pochi secondi dopo sentì una presenza tranquilla al suo fianco. Si voltò e osservò con apprezzamento il cameriere in piedi in silenzio accanto a lui. Il ragazzo era magro, biondo e aveva gli occhi opportunamente abbassati. Non indossava nient’altro che un kilt di pelle nera che gli sfiorava il sedere, e Joe sapeva che sotto avrebbe trovato solo un succinto perizoma di rete. Era l’abito richiesto a tutti i sub che prestavano servizio nello staff dell’Underground. I ragazzi erano tutti carini, molto ben pagati e non tenuti a fare nulla che non volessero. Joe sapeva per esperienza personale che la maggior parte di loro avrebbero voluto fare qualunque cosa lui gli avesse ordinato.
Il biondino si inginocchiò con grazia ai suoi piedi, gli versò un bicchiere di acqua frizzante e glielo porse con un timido sorriso.
«Grazie, Alistair.»
«Il piacere è mio, Signore. C’è qualcos’altro che posso fare per lei?»
Joe gli arruffò i capelli. «Non stasera. Ho un appuntamento con il signor Hoffman.»
«Se più tardi cambia idea, Signore, sarei molto felice di essere al suo servizio.»
Joe notò una certa dose di malizia nel sorriso che accompagnò quella dichiarazione. Aveva giocato diverse volte con Alistair e, nonostante il suo aspetto da bambino smarrito, quel ragazzo adorava una bella sculacciata con la paletta.
«Lo terrò sicuramente a mente, Alistair.» Si voltò quando qualcuno gli strinse forte la spalla. «Carey! È passato un po’ di tempo. Scusa se mi sono presentato senza preavviso.» Si alzò e strinse la mano al suo amico. «Ti trovo bene.»
Carey Hoffman fece un ampio sorriso mettendo in bella mostra una serie perfetta di denti bianchi e uniformi. Il sorriso raggiunse i suoi occhi marroni caldi e brillanti e gli increspò le guance abbronzate. I capelli corti e scuri leggermente striati d’argento gli accarezzavano la fronte senza rughe e il suo mento forte era spolverato di barba.
«Joe, amico mio. Sai che sono sempre felice di vederti. La cena la offro io.» Prese l’altro posto e rivolse ad Alistair un’occhiata severa. «Menu, ragazzo. Servirai tu al nostro tavolo stasera.»
Joe notò il rossore di piacere sulle guance pallide di Alistair mentre correva via e rivolse al suo vecchio amico uno sguardo d’intesa. «Quando hai intenzione di dare a quel ragazzo ciò che vuole? Ti adora.»
«È un monello e ha bisogno di imparare a essere paziente.»
«Sapeva che stavi guardando quando è venuto da me, vero? Voleva farti ingelosire.»
Carey strizzò l’occhio. «E secondo te perché è stato mandato qui?»
Joe ridacchiò. «Mi sei mancato, Carey.»
Si godette davvero le due ore successive, facendo due chiacchiere con il suo amico durante un pasto eccellente. Alistair servì il cibo e mantenne le loro bevande rinfrescate, e venne ricompensato con un’occasionale carezza sul sedere ricoperto di pelle. Alla fine Joe e Carey si sistemarono di nuovo in salotto davanti a un caffè. Joe inspirò il ricco aroma e sospirò felice. Carey lo guardò con aria interrogativa. «Allora... sei qui solo per il piacere della mia compagnia, o sei interessato a qualcosa di particolare?»
«Dipende. Mi sembra che ci siano molti dei tuoi clienti abituali e non vorrei privarli di ciò che sono venuti a cercare.»
La tazza di Carey tintinnò contro il piattino. «Ti conosco, Joe. Sei annoiato. Hai bisogno di qualcuno di nuovo. Qualcuno di diverso.»
Joe scrollò le spalle. «Hai in mente qualcuno, quindi? Conosci i miei gusti.»
«Forse.» Carey strinse le labbra e si accigliò. «C’è un ragazzo nuovo che si è presentato qualche settimana fa in cerca di un lavoro che gli garantisse anche l’iscrizione gratuita. Finora l’ho tenuto lontano dai membri del club, mi sembra un po’ troppo vulnerabile. C’è qualcosa che non mi dice. È stato addestrato, almeno in parte, quindi non è del tutto innocente.»
«Non è da te tirarti indietro, Carey.» La curiosità di Joe a quel punto era decisamente stuzzicata.
«Lo so. È stato Alistair, in realtà, a dire che il ragazzo era triste per qualcosa che aveva perso. Devo essermi rammollito, invecchiando! A ogni modo, si guadagna da vivere in cucina, ma ora che sei qui…» Carey fece un cenno ad Alistair, che era lì vicino. «Va a prendere il nuovo ragazzo. Preparalo e vestilo, prima. Il signor Dexter gli darà un’occhiata.»
Alistair sorrise raggiante a Joe e poi a Carey prima di correre via. Quarantacinque minuti e un’altra tazza di caffè dopo, era tornato. Un altro biondino era al suo fianco, vestito in modo identico, lo sguardo fisso al pavimento. Carey si alzò e strinse la mano di Joe. «Vieni a cercarmi se qualcosa non dovesse funzionare, amico mio.»
Joe annuì, completamente assorbito dal giovane che gli si era inginocchiato davanti. Gli occhi più grandi e azzurri che avesse mai visto si alzarono timidamente da sotto una cascata di riccioli morbidi. Le labbra di Joe si curvarono in un lento sorriso affamato. Sentì a malapena il commento di Carey rivolto ad Alistair. «Penso che il nostro lavoro qui sia finito.»