La vendetta è un fuoco che brucia tutto, compreso chi lo appicca.
Per me andava bene: mi sarei trasformata volentieri in cenere se avessi potuto portare qualcun altro con me.
Diedi un'occhiata alla stanza affollata, alle persone che si muovevano senza avere idea del mostro in mezzo a loro, quello col viso di una ragazza.
“Vuoi qualcosa da bere?” L'uomo che aveva parlato indossava un abito e non avevo idea di chi fosse. C'erano persone che valeva la pena incontrare, persone abbastanza importanti da identificare e conoscere, e poi c'erano tutti gli altri.
Non ero lì per divertirmi, per fare amicizia: quelle cose ormai non facevano più parte della mia vita. Se non erano persone che potevo usare per raggiungere il mio obiettivo, non me ne fregava un cazzo di loro.
Tuttavia, quella sera il piano era diverso. Ogni gioco aveva le sue regole, i suoi ruoli, e sapevo bene come si giocava.
Quella sera? Stavo cercando di mimetizzarmi, di essere solo un altro corpo in un mare di persone che non avevano alcuna importanza.
Era quello il piano. Avevo bisogno di muovermi in quel contesto ma senza attirare troppa attenzione. Era un azzardo: restare nascosta ma abbastanza vicina per poter ottenere le informazioni di cui avevo bisogno.
E quello di cui avevo bisogno era l'uomo con la maglietta bianca dall'altra parte della stanza, quello con i tatuaggi sul braccio sinistro e un bicchiere in mano.
“Grazie,” dissi all'altro tizio, quello senza importanza che aveva deciso di tentare la fortuna. “Ma sto bene così.”
“Non ti ho mai vista qui prima,” disse, mostrandomi di non essere il tipo che accetta un no come risposta. “Mi sarei ricordato di questi capelli.” Allungò una mano, afferrando una ciocca rosso brillante e palesemente finto tra le dita.
Che audacia. Rimasi ferma e obbligai le labbra a distendersi in un sorriso. Potevo infilargli un coltello tra le costole, ma tenere gli occhi puntati sull'obiettivo era più importante. Mi ero spinta troppo oltre per rinunciare a ciò che desideravo davvero in cambio di ciò che volevo in quel momento.
“Sono nuova.” Mi spostai quel tanto che bastava per fargli lasciare la presa sui miei capelli.
“Oh, davvero? Come hai fatto a trovare la strada per arrivare qui, coniglietto?”
Coniglietto? Lottai per non alzare gli occhi al cielo di fronte a quello stupido nomignolo, dato che mi rappresentava poco e male. Era sempre così: un uomo che cercava di mettermi al mio posto senza una buona ragione, che mi giudicava perché lo faceva sentire più importante.
“Ho incontrato qualcuno a una festa e mi ha invitata.”
L'uomo si fermò e aggrottò le sopracciglia. Giusto. Pensaci bene. Quel mondo girava intorno a chi conoscevi, alle connessioni che quelle persone avevano. Potevo vedere tutti quei pensieri passargli per la mente.
Chi era l'uomo che mi aveva invitata? Ero già stata reclamata da qualcun altro, qualcuno a cui non voleva pestare i piedi?
Il suo livello di disagio mi disse bene su quale gradino della gerarchia sociale si trovava.
Più provava paura e incertezza, più stava in basso, e più persone aveva di cui doversi preoccupare. L'ultima cosa che voleva era far incazzare qualcuno che avrebbe preso l'offesa sul personale.
Quel ragazzo si trovava a malapena nella gerarchia sociale, a giudicare dal modo in cui se ne andò senza quasi salutare.
Meglio così. Avevo bisogno di concentrarmi.
L'uomo che stavo guardando scolò il contenuto del bicchiere. Si appoggiò al bancone, l'attenzione concentrata sulla donna al suo fianco. Il sorriso della ragazza era teso agli angoli, un indizio così sottile da essere a malapena visibile. Ma mi disse ciò che avevo già indovinato.
Una prostituta.
Non lo pensavo in modo dispregiativo. Tutti si vendevano in un modo o nell'altro. Gli uomini vendevano la loro forza, le mogli la loro giovinezza e i boss della mafia la loro anima. Le donne che vendevano il proprio corpo non erano tanto diverse, a parte il fatto che spesso erano più talentuose.
Mi rendeva anche più facile guardare l'uomo, poiché la professionista avrebbe mantenuto la sua attenzione.
Sorseggiai il drink che avevo ordinato, il whisky che mi pungeva la lingua. Non avrei esagerato – avevo bisogno di restare lucida – ma non bere niente mi avrebbe fatto risaltare.
Il club era più rumoroso di quanto avesse il diritto di essere. Era pieno di persone che pensavano di poter migliorare la propria vita, persone che non avevano accettato il loro posto nel mondo, il che per me andava bene.
Portai di nuovo il bicchiere alle labbra, prendendo un altro sorso di quel fuoco liquido, seguendo con gli occhi l'uomo dall'altra parte della stanza. Herold “Lucky” Hanson. I suoi genitori erano stati degli idioti a dargli un nome così assurdo, motivo per cui non pensavo che il soprannome gli si adattasse bene. Non mi sembrava poi così fortunato.
Di sicuro non lo sarà presto…
Bevvi di nuovo prima di avvicinarmi al bar. Le voci filtravano attraverso la musica, piccoli frammenti di informazioni che archiviavo mentre attraversavo la stanza.
Una donna che flirtava ammettendo di essere lì alle spalle del marito. Un uomo che incolpava il suo capo di qualcosa. Due donne, sorelle, che festeggiavano mentre una guardia del corpo vegliava su di loro.
Era così che funzionava, però. Ognuno aveva le proprie stronzate di cui occuparsi. Anche se quello che stavo succedendo a me era tutto ciò che mi interessava, era incredibile quanto fosse caotico il mondo. Tutti si muovevano di continuo, lottando sempre per qualcosa, scappando dai problemi e dirigendosi verso altri, e il tutto mentre facevano mille progetti.
Era il miglior puzzle del mondo, uno nel quale i pezzi cambiavano continuamente.
Mentre mi avvicinavo al bar, mi immersi nell'unica conversazione che contava: quella tra Lucky e la donna che avrebbe dovuto trovare un nuovo bersaglio per la serata.
“Sono un sacco di soldi,” stava dicendo Lucky. “Di solito non pago, sai.”
Bugiardo. Tutti pagavano per il sesso in un modo o nell'altro.
“È ciò che la gente ama dire sulla maggior parte dei lavori, ma la realtà è che c'è una bella differenza tra un professionista e un dilettante. Qualsiasi persona può scarabocchiare una figura stilizzata, ma non sarà mai come l'opera di un artista. Una sveltina è una cosa, ma quello che posso offrire io?” La prostituta gli fece scivolare le dita lungo il braccio. “Beh, sono due cose del tutto diverse.”
È brava. Annotai quel particolare, notando i suoi capelli neri e le labbra truccate di rosso, nel caso in cui avessi bisogno di ricordarmi di lei. Una persona non aveva mai abbastanza informazioni, e avevo imparato che i dettagli potevano fare la differenza tra successo e fallimento.
E il fallimento aveva un caro prezzo nel mio mondo.
Lucky spostò lo sguardo sulla donna, uno scrutinio lento e approfondito che mi fece accapponare la pelle. “Beh, sembra divertente. Potrebbe valerne la pena.”
La donna sorrise e allungò la mano, posando il palmo sull'avambraccio di Lucky. “Ci sono delle stanze qui, al piano di sopra.”
Lucky scosse la testa. “No. Non mi piace avere un pubblico potenziale o rischiare di essere ripreso.”
Il sorriso della donna svanì, mostrando una piccola esitazione. “È pericoloso per le ragazze che fanno il mio lavoro seguire gli uomini a casa.”
Lucky emise una bassa risata. “Le ragazze che fanno il tuo lavoro dovrebbero conoscere le persone abbastanza bene da sapere quali uomini vogliono scoparvi e quali vogliono uccidervi. Se volessi farti del male, non mi offrirei di pagarti.”
Tuttavia, la donna non sembrava convinta.
Lucky doveva essersi reso conto che la stava perdendo, perché si avvicinò un po', abbassando la voce finché fui a malapena in grado di sentirla. “Pensi che non sappia come vengono trattati coloro che creano dei problemi qui dentro? Che scopano con voi ragazze? Non sono stupido, non voglio certo crearmi dei nemici. Pagherò il tuo capo di persona, in anticipo, per l'intera notte. Far incazzare qualcuno sarebbe da stupidi, e io non lo sono di certo.”
Il sorriso della donna svanì, come se avesse bisogno di tutti i muscoli del corpo per soppesare Lucky, per capire se stava dicendo la verità. Dopo un momento, annuì. “D'accordo. Vado a chiamare il mio capo e la faccio venire qui.”
Rimasi dietro Lucky, fuori dal suo campo visivo. Un'altra donna si avvicinò alla sua sinistra, aveva i capelli così biondi da essere quasi bianchi, i passi sicuri di chi non aveva paura di camminare in un locale pieno di uomini del genere.
Parlarono per qualche minuto, la voce della donna era forte e sicura. Concordarono un prezzo e la durata della prestazione, e la donna aggiunse anche una minaccia non così sottile insieme al resto. Lucky pagò il prezzo – cinquemila – in contanti. Sembrava, nonostante le sue precedenti obiezioni, che fosse andato lì proprio in cerca di sesso. Non c'erano altri motivi di portarsi dietro così tanti soldi.
Lucky se ne andò dopo aver scritto il suo indirizzo su un biglietto e averlo consegnato alla donna.
La donna non si alzò, però. Anche quando rimase da sola, con indosso un completo senza camicia sotto la giacca, che scendeva abbastanza in basso da mostrare la valle tra i suoi seni, restò ferma.
Almeno finché non alzò gli occhi su di me. “Sembri molto interessata ai miei affari,” disse.
Incontrai il suo sguardo, sorpresa dai suoi luminosi occhi azzurri. Risaltavano in contrasto ai capelli chiari, affascinandomi come poche persone riuscivano a fare.
Avrei potuto mentire, provare a fingere di essere solo una persona nella folla. La reazione dipendeva sempre dalla persona con cui stavo parlando. Era necessario misurarli, decidere il modo migliore per manipolarli. Quella donna? Era troppo intelligente, troppo calcolatrice per farmi decidere di fingere di essere al bar per caso.
Ricordare quello che aveva detto Lucky, però, mi diede uno spunto.
Tutti avevano un punto debole, qualcosa che temevano, qualcosa che desideravano. Scoprire di cosa si trattava mi avrebbe fatto ottenere ciò che volevo da loro.
“Penso che sarebbe una buona idea se la tua ragazza non andasse all'appuntamento,” risposi.
“Oh, davvero? Non sarebbe un male per gli affari?”
Scossi la testa. “Il fatto è che Lucky non sarà così fortunato stasera. È così che andranno le cose, in un modo o nell'altro, e quella ragazza è già stata pagata, quindi sarebbe più sicuro se non si trovasse nei dintorni.”
La donna strinse gli occhi. “Se lo merita?”
Tornai indietro con la mente, ricordando Lucky quando era più giovane, mentre la luce rossa rimbalzava sui suoi denti bianchi. C'era qualcuno al mondo che lo meritava?
“Si merita questo e molto altro.”
La donna non reagì con sorpresa. Invece, le sue labbra rosse si sollevarono in un sorriso freddo, uno che sapeva di sostegno, come se fossimo fatte della stessa pasta. “Sai perché ho chiamato questo posto così? La gente sente il nome, Diamond's Edge, e pensa che abbia qualcosa a che fare con il fatto che le donne sono pietre preziose.”
“E non è così?
“I diamanti sono la sostanza naturale più dura sulla faccia della terra. Eppure vengono acquistati, curati e valutati come qualcosa di carino, mentre la maggior parte di noi ignora la loro reale forza.” La donna appoggiò il gomito sul bancone, gli occhi quasi spaventosi per la loro intensità. “Questo è il motivo per cui l'ho chiamato così. Le ragazze sono viste come qualcosa da valutare e possedere. Ho scelto questo nome perché qui le donne hanno lo stesso vantaggio, quando ne hanno bisogno. È qualcosa che la gente dimentica troppo spesso.” Tese la mano. “Mi chiamo Valeria Preston.”
La strinsi. “Nem Syler.”
“Nem?” Mi osservò. “Strano nome.”
“E Valeria no?”
Alzò un sopracciglio, poi sorrise di nuovo, come se dovesse concedermi quella piccola vittoria. “Sai, vedo molte persone nuove entrare qui, persone che dicono tante cose, che fanno molte promesse. Di solito, sono inutili. Tu, tuttavia, potresti essere diversa da tutti loro. Farò in modo che questa sera tu non sia disturbata da nessuno.” Si alzò, muovendosi in modo fluido ed elegante. “E assicurati che per lui la fine non giunga troppo in fretta, che soffra per qualsiasi cosa sia stata in grado di accenderti quel fuoco negli occhi.”
Era una promessa che non mi dispiaceva per niente mantenere.